Pescara

Il caso studio di Pescara

a cura di: Piero Rovigatti 

collaborazione di: Ludovica Simionato  

A Pescara, metropoli piccola, secondo alcuni, città diseguale, spaccata in due, tra un centro dove vivono in prevalenza i ceti medio alti dei servizi direzionali e amministrativi, e le sue slabbrate periferie, parlare di prossimità, e di effetto città, e di quartieri, significa misurare ancora con mano un’altra forma delle sue disuguaglianze – quella dell’accesso ai beni comuni urbani e ai servizi di vicinato – che si assomma e complica il dato già sufficientemente grave delle disuguaglianze sociali, economiche, e di opportunità. Quando poi lo sguardo volge alla condizione dell’infanzia, e dell’adolescenza, tali disegualità emergono con ancora maggiore evidenza, in particolare nelle sacche di marginalità che si alternano, in una specie di scacchiera a colori contrastanti, ad aree residenziali quasi esclusive, di nuovo impianto, o di tessuto di case unifamiliari su lotto abitate ancora da ceti medi. Come al Ferro di Cavallo, edificio stigma del degrado e della devianza sociale dell’intera periferia, o nei diversi “quartieri” di edilizia economica e popolare che ne scandiscono la geografia, dove tutti gli indici di “complessità e priorità” urbana volgono verso valori estremi.

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