Commenti dei lettori

Ringraziamo il Prof. Marcello Balbo, ex IUAV e Cattedra UNESCO, per averci inviato le sue osservazioni sul tema della citta’ in quindici minuti ispirate dai riferimenti della newsletter #4 a Barcellona, citta’ che sta sperimentando questo approccio e ringraziamo Eugenio Monti per le utili osservazioni inviateci sul programma della prossima BiSP.

Dubbi sulla 15-minute-city, molti

di Marcello Balbo

Per via delle restrizioni del COVID, ha trovato terreno sempre più fertile l’idea che la “prossimità” sia un elemento fondamentale non solo per la qualità della vita (si trova tutto a portata di piede), ma anche per il buon funzionamento della città. L’”Agenda dei Sindaci C40 per una ripresa verde e giusta, presentata a luglio, impegna appunto i Sindaci a far sì che “tutti i cittadini vivano in ‘città dei 15 minuti’ in cui i negozi, i posti di lavoro e i servizi essenziali saranno facilmente raggiungibili in bicicletta o a piedi, circondate da numerose aree verdi per rilassarsi, fare esercizio fisico e giocare”. Su Arcipelago si è già toccato questo tema, in generale con ampio favore.

Io provo a esprimere alcuni dubbi.

Uno degli obiettivi principali dei “quartieri completi” (15-minute-city) è ridurre il traffico. Tuttavia, non è chiaro quale possa essere il risparmio: certo, nelle intenzioni si impedirebbe il traffico di attraversamento, che però ha buone probabilità di trasformarsi in traffico di circuitazione, semplicemente spostando il problema dal dentro al margine. Certo, ci sono quelli che usano l’auto anche per accompagnare il figlio alla scuola dietro l’angolo, ma non sono molti, e comunque – se sono residenti del “quartiere completo” – forse non si può impedire loro di spostarsi in auto all’interno dello stesso. Soprattutto, sono quasi certamente irrilevanti, in termini di quantità.

Si dice che la mobilità, a livello planetario, è grande consumatrice di energia, ma in un conto di questo tipo bisogna mettere dentro costi e vantaggi, cosa certo non semplice da fare. Sul fatto che la “globalizzazione”, di cui la mobilità costituisce elemento portante indispensabile, abbia avuto notevoli effetti positivi, facendo crescere significativamente il livello di vita di molti paesi, in particolare di molti di quelli più poveri, vi è un ampio consenso, pur se sappiamo che ha prodotto anche grandi disparità. Andrei dunque assai cauto nel sostenere a spada tratta l’opportunità di ridurre le possibilità di spostarsi.

La città-15-minuti è quella che dispone di servizi e funzioni, diciamo di base, all’interno di una distanza ridotta, se ci riflettiamo bene non molto diverso da ciò che gli “standard urbanistici” proponevano già negli anni sessanta. Per la verità, se si guarda alle città europee, ben diverse da quelle americane, da dove nasce la corrente della 15-minute-city, si tratta di una condizione che si dà già piuttosto diffusamente. In Italia poi, con i suoi piccoli e medi centri urbani, la cosa forse è ancora più vera che altrove. Certo, poi la gente vuole andare all’ipermercato o all’outlet, ma verosimilmente non è perché non ha un negozio di scarpe o di vestiti nelle vicinanze. Forse il negozio di scarpe e di vestiti di vicinato non è così fornito, o ha prezzi più alti, o ha cose che non piacciono.

C’è poi la questione della “libertà di scelta”: se si vuole vedere un certo film, non è detto che sia in un cinema di prossimità, e nemmeno che in prossimità ci sia un cinema. Cioè, si pongono due questioni: da un lato la serendipity è uno dei grandi elementi di attrattività della città, togliendo o riducendo il quale il rischio del “quartiere completo” di cadere nel “quartierismo” diventa piuttosto alto. Il “supermercato di condominio, il nuovo “servizio” che a Milano ha cominciato a diffondersi, cioè i il grande frigo nell’androne con dentro prodotti vari che si possono acquistare avendo una tessera apposita senza nemmeno uscire di casa a me fa venire la pelle. Dall’altro è piuttosto evidente che, perché ci possano essere servizi di base (il cinema forse non è proprio di base, ma il giornalaio magari sì, e il panificio certamente), occorre essere pronti a politiche di sussidio piuttosto consistenti, se no il panificio non ce la fa, il giornalaio sta chiudendo, e il cinema o è multisala o niente.

Aggiungiamo che, quando si afferma che lavoro, scuola, servizi di base devono essere tutti vicino ai luoghi dell’abitare, ovvero l’opposto del processo di concentrazione funzionale e di delocalizzazione che sinora è stato considerato “il progresso”, ci si dimentica che la concentrazione contribuisce in misura rilevante alla specializzazione e al connesso aumento di produttività. Non si può immaginare, ovviamente, che servizi e attività specializzate (e relativi posti di lavoro) siano presenti all’intero di tutti i “15 minuti”.

In ultimo, ma in realtà ciò che solleva i maggiori interrogativi, è la questione dell’equità. Ci sono “15-minuti” agiati – diciamo per esempio, parlando di Milano, tutta l’area compresa all’interno della circonvallazione della 90-91, e 15-minuti in condizioni assai più precarie. E’ difficile immaginare di riequilibrare situazioni così diverse in un tempo accettabilmente breve. Il che significa, se si intraprende la strada dei 15-minuti, condannare per lungo tempo chi abita nei quartieri disagiati a condizioni appunto di precarietà. Una questione molto seria, e difficile.

Al contrario, puntare sulla mobilità potrebbe essere la strada più efficace per colmare – almeno in parte, almeno per il tempo breve e medio – il divario che esiste oggi. Tanto più – aspetto questo di peso, ma che i fautori dei 15-minuti trascurano – che per la mobilità urbana stiamo assistendo a una vera e propria rivoluzione con prospettive anche a breve di un aumento significativo dell’accessibilità. Tutte le forme di share che esistono già oggi, dalle auto agli scooter, le bici e ora anche i monopattini, hanno già rivoluzionato i livelli di accessibilità, ampliandoli, ma sono in arrivo anche altre modalità di mobilità collettiva – elettrica, sostenibile e pulita – a prezzi verosimilmente bassi, che permetteranno spostamenti sempre più comodi e in tempi ridotti.

Ovviamente tutto questo non vuol dire che non si possa o non si debba lavorare per una città prima di tutto più democratica (servizi e attività accessibili per tutti), e più sostenibile. Ma mi permetto di dubitare che questa tendenza al riduzionismo, sia spaziale che relazionale, sia la strada da imboccare.


Commenti alla newsletter#4 della BiSP

di Eugenio Monti

ll programma mi sembra molto ben articolato e gli argomenti proposti tutti interessanti. In particolare le proposte per garantire “spazi pubblici” ai bambini.

Molto interessante l’esperienza di Reggio Emilia collegata alla scuola, sia in tema di organizzazione e fruizione degli spazi antistanti gli edifici scolastici, sia per quanto concerne l’efficienza degli spostamenti casa-scuola e casa-lavoro. Mi sembra particolarmente importante, per far approdare studi e ricerche su un piano di concretezza, il coinvolgimento dell’Amministrazione Comunale e l’inserimento dei progetti nel Programma Triennale delle Opere pubbliche.

Sempre relativamente ai bambini ho apprezzato la proposta del progetto ” Imparare la città” che potrà essere sviluppato tenendo anche conto di esperienze parziali già in atto ad esempio in alcuni luoghi della cultura.

Poiché lo spirito della “Biennale dello Spazio Pubblico ” è la partecipazione alla discussione, il contributo ai seminari come momento di confronto di idee ed esperienze, credo che, data la situazione sanitaria che per il momento non accenna a migliorare, sia necessario fin da ora prevedere un grande sforzo organizzativo affinché la partecipazione possa comunque aver luogo su piattaforme on line.