ETERONOMIA E SOCIETÀ SCHIUMOSA PER UN NUOVO PARADIGMA DELLO SPAZIO APERTO

Rossella Maspoli
Dipartimento di Architettura e Design,
Politecnico di Torino
rossella.maspoli@polito.it
www.dad.polito.it

L’eteronomia è intesa come criterio per analizzare e valutare ciò che non ha esaustivamente in sé la causa e le leggi del proprio agire, ma che in modo relazionale le riceve dall’esterno e le rielabora.
Si tratta di una necessaria dipendenza del fare dell’architetto dalle circostanze, dalla sintonia con la storia e il locale, con il mutare delle aspettative degli individui e dei gruppi sociali.
La fase attuale si può definire di cambiamento del paradigma dominante – secondo la terminologia adottata da T. Kuhn – la post-pandemia può determinare un’accelerazione del futuro verso una rivoluzione digitale post-fordista che venga percepita come condivisione, verso la sostenibilità sociale-ambientale e la prevenzione della malattia, in una dinamica di continua ridefinizione degli obiettivi. Il “fordismo” è inteso come modo per garantire una produzione di massa e crescente secondo soluzioni razionali, estendendo all’infinito la produzione di beni e servizi standardizzati.
Dal paradigma della centralità della produzione e della sua globalizzazione, la graduale traslazione di fine ‘900 è alla mitigazione dell’impatto nell’antropocene sulle caratteristiche fisiche, chimiche, biologiche e in parallelo all’indirizzo all’innovazione sociale e al diritto alla salute.
Nel nuovo paradigma che si afferma, la propensione non è a ripristinare lo stato precedente, ma a ridefinire i modi del ri-sviluppo sostenibile, a prevenire alterazioni che producano condizioni di degrado ambientale e fisico come di malattia e pandemia, e a frenare l’estensione di condizioni di non accettabilità economica e sociale, anche nei paesi cosiddetti sviluppati.

Emergono come prime eteronomie quelle fra prassi tecnicistiche – dove l’utilizzo di sistemi di calcolo analitico-deduttivi rischia di mettere da parte le responsabilità complesse – e teorie ermeneutiche che aprono ai sistemi relazionali, e alla soggettività di interpretare e creare.
Un modello di produzione basato su saperi aperti, e non pre-gerarchizzati, fa riferimento alla “trasversalità” già proposta da F. Guattari.
Nella prospettiva transdisciplinare, i modi della produzione di valore relativi alle tecnologie dell’architettura si possono rindirizzare – quando cresce una domanda sociale e anche di mercato – a prevenire le criticità per la salute come contenere le pandemie, controllare-mitigare la vulnerabilità ai cambiamenti climatici, valutare-ridurre i fattori di inquinamento, attrezzare la città per l’esercizio fisico e la casa per il benessere.
La sfida per il nuovo paradigma richiede una rinnovata contaminazione fra strumenti e pratiche, fra apparati conoscitivi e processi decisionali per sviluppare nuovi modi di vivere, lavorare e apprendere rivolti alla produzione interattiva e alla condivisione di senso.
La formazione e la comunicazione devono affrontare le capacità e abilità che sono essenziali per l’efficacia delle prestazioni in termini di innovazione sociale e produttiva, e le competenze principali che devono essere condivise da un campo di attività all’incrocio di altri.
Un quadro di nuovi campi di ibridazione e l’attenzione ad un’etica delle eteronomie emergono per la fase post-pandemica.
L’eteronomia riguarda, per prima cosa, il mutare delle regole di comportamento e di prossemica nel quotidiano prima di incidere sul piano normativo, e ripensando il sapere tecnologico in termini di cosa serve e cosa fa bene.
L’ibridazione di tecnologia di processo e transdisciplinarietà rimette al centro l’health city e la costruzione di nuovi modelli di inclusione sociale e di condivisione spaziale.
Parafrasando P. Sloterdijk, il soggetto attraverso l’operare agisce su sé stesso e sul sistema immunitario della città in cui è inserito, modificandolo e a sua volta modificandosi. Così l’abitante di una città si sente in qualche modo protetto dal suo sistema ed è anche votato al suo mantenimento, alla sua protezione e evoluzione. Un cambiamento di paradigma comporta, allora, tentativi di ri-climatizzazione di quanto comincia ad essere percepito come spaesante in termini sociali e culturali, simbolici e architettonici, richiede di adottare un nuovo sistema immunitario di protezione. L’opzione è quella di una società schiumosa – come ha affermato A. Lucci – in cui non c’è più una visione d’insieme e dominate, ma può emergere una struttura co-immunitaria, aperta all’inclusione di singole culture e di solidarietà locali.
L’adattamento, in quanto concreta riduzione della vulnerabilità climatica dei sistemi urbani e la resilienza, in quanto capacità di adattamento del locale in termini sociali, economici e ambientali, incontrano l’occasione atipica di un cambiamento delle regole, sia come norma consuetudinaria che come norma locale e nazionale, di consiglio o cogente.
I cambiamenti interstiziali per abitare lo spazio esterno, dal collettivo condominiale ai siti interstiziali di prossimità e alle vie urbane, significano co-design e riuso di auto-costruzione di spazi collettivi dismessi o sottousati. La ri-creazione di spazio nella città mette in gioco un rapporto di mutuo e reciproco rimando tra interno e esterno, tra produrre e abitare.
Le azioni trasformative dal basso mutano le consuetudini.
A scala di prossimità delle attività aperte al pubblico, commerciali e di ristorazione, la disponibilità temporanea di segmenti in più di spazio esterno – concessi in centri urbani come Milano e Torino – può indurre nuovi modi di vivere nell’esterno, come oasi di sosta e di breve incontro sociale, a compensazione delle distanze per il diradamento sociale.
Le sperimentazioni nel quotidiano possono influire sull’eteronomia delle tecniche, dell’economia, delle intenzionalità, della committenza che caratterizzano lo sviluppo di funzioni specifiche. Materiali e processi possono interagire con altri usi, mettendo in gioco un’economia circolare di riciclo e ibridazione, aprendo a interventi creativi verso l’arte pubblica.
Il termine è di uno spazio accessibile, flessibile e adattabile, disponibile alla customization.
Nella filiera progetto-esecuzione-gestione – dal data design-driven alla progettazione performance-oriented – bisogna pensare a un diverso approccio prestazionale psico-percettivo come fisico-razionale.
I temi di indagine riguardano il dialogo fra scienze umane, tecno-scienze e arti, a diverse scale operative, secondo obiettivi di valutazione complessa dell’adattamento al rischio climatico, della riduzione della vulnerabilità, della prevenzione delle malattie e dell’accrescimento delle infrastrutture per il benessere.
Questo dialogo ha obiettivi di diverso livello:
– Aiutare le persone ad affrontare il cambiamento, riconoscere e interpretare i nuovi bisogni, a partire dal proprio locale, superare le criticità di distanziamento e disconnessione.
– Modificare le pratiche dell’abitare. L’emergenza ha determinato una spinta di accelerazione del digital working, il “teorema della casa mondo” riguarda l’esercizio creativo di incorporazione nello spazio domestico, ed è un approccio che si caratterizza per la diseguaglianza e differenziazione socio-culturale.
– Delineare spazi di inclusività e resilienza delle comunità. Promuovere opportunità di innovazione sociale riguarda la crescita di nuove comunità “dal balcone”, dalla online resilience. Sono da ripensare spazi e strumentazioni di una vita sociale ibrida, con nuove infrastrutture civiche/collettive.
– Adeguare e potenziare lo spazio aperto, che diviene luogo di desiderio e di testimonianza del mutamento, di transizione graduale del distanziamento sociale, ma può aprire in modo più incisivo a una transizione verso green
city e health city, ed è necessario progettare lo spazio anche con architetture e lay out temporanei.
– Promuovere la sostenibilità e la salute. La pandemia ha evidenziato la necessità d’integrare scienze mediche e ambientali, biologia e botanica, sociologia urbana e psicologia, architettura e design per affrontare la nuova
complessità. L’interazione tra ambiente e salute fa emergere le esigenze di benessere, di soddisfazione psicologia e anche di identità connessi ad un’attenzione sensoriale e emozionale nella progettazione.
– Convertire i modi del lavoro. Gli spazi di base del lavoro terziario, della cura, del commercio, dei servizi, della formazione devono sia soddisfare nuove esigenze di salute che accrescere il comfort percettivo dello stare in un luogo.
– Comunicare e accedere al patrimonio culturale. I musei, i siti che testimoniano il patrimonio, i percorsi di open air museum si devono raccontare attraverso un’esperienza di fruizione virtuale e reale. La percezione e organizzazione dei luoghi di visita deve garantire prestazioni di accessibilità e fruizione ampliata.
In parallelo, la prevenzione pandemica si pone come strategia continuativa, per promuovere l’evoluzione del concetto di benessere e dei relativi fattori prestazionali. Le tecnologie possono divenire supporti fluidi, confrontabili e integrabili.
Secondo la teoria della convergenza tecnologico di N. Negroponte, alla base è la convergenza e la disponibilità di un numero sempre più alto di dispositivi di interazione, prevenzione e collaborazione negli smart device.
Modalità di co-design flessibile, di place-making e di self-governance locale rappresentano una risposta all’attuale crisi, incentivando la nascita di reti di competenze con abitanti e prosumer, e rispondendo al rischio del controllo sociale secondo logiche di disponibilità culturale e di società schiumosa.
Il tema è ridare senso, quindi, prima che forma, ai luoghi in cui viviamo.