LA CITTÀ CONQUISTATRICE

Segregazione multifunzionale sostenibile come nuova forma della città

di Fabrizio Bottini

Tra le questioni poste dall’emergenza sanitaria quella urbana spicca senza dubbio come fondamentale, in quanto piattaforma spaziale di convivenza su cui sperimentare i nuovi obiettivi socioeconomici, specie nell’accostare oggi senza soluzione di continuità le due categorie confliggenti del mixed use e della segregazione. E di farlo peraltro in termini capillari, sia nell’ambito privato, che in quello collettivo/pubblico, che in quello della sharing economy. Facciamo il primissimo esempio di questa strana coppia di conviventi così come innescato dalla diffusissima emergenziale pratica del telelavoro, dove si mescolano composizione funzionale dello spazio e segregazione spaziale di chi le funzioni le esercita. Perché normalmente la segregazione non è affatto sovrapposta, come sappiamo da un secolo di specializzazione: segregare in termini urbani vuol dire che una certa zona (o edificio o complesso) che è pensato espressamente per un uso  residenziale, produttivo, di servizio, ospita quello, solo quello. Nei casi più «efficienti» in senso novecentesco, di derivazione industriale, questo spazio specializzato monofunzione è nettamente staccato da altri spazi ad altra specializzazione, da una vera e propria barriera, come se si trattasse di una specie di fortino che difende la propria autonomia: una strada importante e larga, una striscia di parco, nei casi di insediamento suburbano anche chilometri di terreno senza attività umane di qualche intensità, salvo i trasporto. Questa, è la segregazione classica.

Ma ecco che improvvisamente la segregazione della quarantena sanitaria, a cui sono sottoposti allo stesso modo sia i malati che i sani potenzialmente contagiabili, cambia tutte le carta intavola: ed ecco l’assurdo della «segregazione multifunzionale», dove in un singolo contenitore piuttosto piccolo e sovraffollato vanno a mescolarsi produzione, amministrazione, cultura, servizi, tempo libero. Una parte di quelle funzioni altro non è che spontaneo allargamento di ciò che in forma di solito minima e residuale già avveniva prima là dentro, per esempio qualche esercizio fisico, o consumo culturale, ma col telelavoro, l’istruzione in teleconferenza, lo stesso commercio online, tutto cambia davvero radicalmente. Nell’ex alloggio dove principalmente si dormiva, ci si lavava, ci si incontrava per alcuni pasti, adesso si convive 24 ore su 24 sovrapponendo nel medesimo spazio-tempo la scuola (addirittura diversi corsi scolastici se gli studenti sono più di uno), vari posti e postazioni di lavoro in loco e in teleconferenza, più lo svolgimento concentrato di tante attività di housekeeping prima spalmate diversamente sia nello spazio che nel tempo. Cronache e testimonianze di queste settimane ci hanno rivelato o spiegato in termini allargati e soggettivi sia problemi prevedibili che loro aspetti in tutto o in parte sorprendenti, di questa complicatissima convivenza che chiamiamo multifunzione segregata. Dal bambino piccolo che irrompe urlando dentro una stanza ignaro del fatto che quella è la sede di un cruciale CDA in teleconferenza, ai più sottili squilibri nei tempi di uso di spazi prima condivisi, oggi diventati privatizzati parti-time.

Non andremmo oltre l’aneddotico e il particolare fermandoci alla pura serie di quadretti anche tragicomici di tipo familiare, ma proviamo ad allargare anche al minimo il campo e intuiremo il senso di questa singolare segregazione/sovrapposizione funzionale. Si era osservato anche su queste pagine come lo schematico slogan «state a casa» evocasse in realtà il concetto stesso di casa e dei suoi rapporti col resto, e basta dall’alloggio spostarsi all’accessorio immediato del pianerottolo, della tromba delle scale, dell’arretramento di cortile per l’ingresso delle auto o la gestione dei rifiuti: fin lì si estende adesso, in termini di rumori, andirivieni insolito, e immateriale «aura multifunzionale», il campo dello spazio trasformato. E in quegli ambiti, condivisi da vari alloggi, funzioni aspettative e attività soggettive nello spazio-tempo si moltiplicano tante quante sono le persone coinvolte, su superfici calcolate secondo standard invece rigidamente monouso. Facendo diventare pianerottoli, cortili rampe, aiuole di arretramento, lo stesso pozzo definito dalla facciata in relazione alle altre, una specie di metafora urbana tutta da interpretare per prefigurare il futuro, il famoso «ritorno alla normalità» sognato da tanti, oppure la «diversa normalità» che sperano altri, più sostenibile, integrata, meno energivora, consumatrice di suoli per pura duplicazione di standard. Adesso che la ripresa a regime delle attività economiche sociali e di servizio si profila all’orizzonte, una riflessione su cosa potrebbe succedere ai nostri alloggi e pertinenze può rivelarsi di grande valore politico e ambientale.