Bambine e bambini nella città accessibile

Fanny Di Cara


Più riusciremo a garantire una crescita serena e felice a bambine e bambini; più riusciremo, anche attraverso gli spazi, a esprimere creativamente valori come la socialità, la tolleranza, la solidarietà, il diritto alle pari opportunità, il diritto ad autodeterminare i propri percorsi di vita, il rispetto di ogni diversità (etnica, religiosa, culturale, politica, ma anche quella diversità determinata dall’avere un corpo e mente sana o malata, dall’essere una persona ‘abile’ o ‘dis-abile’); il rispetto dell’ambiente, e più le persone piccole e giovani avranno l’opportunità di esprimere la parte più bella di sé, di sviluppare un approccio creativo alla vita e al mondo che abiteranno e trasformeranno da persone felici.

Educare attraverso quale spazio?

La città, comunque essa sia, è un organismo educante come lo è ogni suo spazio che rispecchia sempre e prima di tutto dei valori. Valori che non possono essere soltanto occasioni di sensibilizzazione o materie di studio sui banchi di scuola ma, coerentemente, dovrebbero rispecchiarsi in ogni spazio della scuola e della città.

Questa consapevolezza offre una chiave di lettura critica della città contemporanea e aiuta ad individuare quelle scelte che possono contribuire a fare realmente della città un laboratorio permanente di urbanità. Per questo è importante non solo curare in ogni persona la cultura dello spazio, ma operare per trasformare la città perché educhi ai valori positivi della vita anche attraverso ogni suo più piccolo frammento e perché il diritto a viverla pienamente, il diritto alla sua bellezza e funzionalità, il diritto alla salute (quindi a una città sana), all’istruzione, al gioco… caratterizzi coerentemente anche ogni spazio a partire da quello della scuola e del tessuto urbano in cui è inserita.

La città accessibile

L’approccio culturale alla qualità complessiva della città riferito alle condizioni psico-fisiche di una persona adulta o bambina con delle disabilità (fisiche, sensoriali, cognitive), ha contribuito non solo alla loro marginalità sociale, ma anche alla marginalità degli spazi spesso impropriamente dedicati e medicalizzati.

Nel caso delle bambine e bambini cosiddetti “normali” questo tipo di approccio ha prodotto spazi ad hoc, piccole “oasi” in alcuni casi anche eccellenti, ma chiuse e limitate anche come quantità. Nella città reale questo tempo della vita, nelle sue svariate declinazioni e peculiarità legate anche alla naturale trasformazione nel tempo del corpo (da 0 a 18 anni), continua ad essere omologato se non del tutto rimosso.

In alcune realtà, infatti, non sono mancati e non mancano interventi attenti ai bisogni di questi “nuovi” soggetti, ma nelle scelte continua a prevalere la tendenza a progettare per il bambino tipo, un modello che dovrebbe esprimere e riassumere in sé la diversa appartenenza di genere, le diverse misure dei corpi con tutte le esigenze, bisogni, desideri e sogni che sono espressioni intrinseche alle diverse età. Bambini, adolescenti e giovani vivono e attraversano quotidianamente la città, ma nei diversi spazi non si trova o è ancora difficile trovare e riconoscere la loro presenza.

La città deve essere adulta e bambina, ossia deve essere a misura di chiunque, deve in altre parole essere accessibile. Accessibile è la città che si può vivere pienamente in ogni tempo della vita e in ogni condizione psico-fisica.

L’accessibilità riflette prima di tutto il valore racchiuso nell’unicità e inviolabilità di ogni persona adulta o bambina, un valore da tradurre in qualità edilizia e urbana.

Chi progetta la città, ma anche chi la governa, dovrebbe quindi cominciare a sentire come propria l’esigenza di conciliare i diversi e complessi aspetti della realtà e dell’ambiente urbano con il bisogno di benessere e il desiderio di felicità racchiuso negli abitanti di ogni età, senza escluderne nessuno.

Non bambinizzare la città

Portare al centro dell’attenzione del progetto urbano anche la diversità dei corpi e la soggettività di bambine e bambini, non significa bambinizzare la città, ma significa ricondurre questo tempo così variegato e complesso della vita all’interno di un fare città che usa segni e linguaggi diversi, ma altrettanto coerenti, per rafforzare e rendere più visibili bambine e bambini nello spazio pubblico, cominciando, intanto, dalle zone dove sono localizzate funzioni che riguardano in particolare questo tempo così importante dell’esistenza (servizi per la prima infanzia, centri famiglia, plessi scolastici, giardini e parchi urbani, ludoteche, ecc.). Funzioni che andrebbero quindi valorizzate e segnalate con linguaggi ed espressività tratte dal mondo creativo dei più piccoli e giovani non solo perché (banalmente) possano riconoscerle con immediatezza, ma perché contribuiscono a sviluppare ed accrescere senso di appartenenza al proprio quartiere e alla propria città che, anche attraverso la qualità edilizia e urbana, deve cominciare a riconoscere e ad esprimere la loro cittadinanza.

Sviluppare cultura della città accessibile a partire dalle scuole

Ogni scuola, piccola o grande, inserita in un vecchio o nuovo edificio, immersa nella campagna o compressa in una caotica area urbana è, in sé, un micromondo in cui, un po’ di più o un po’ di meno, si rispecchia tutto ciò che sta fuori. Quel “fuori” che costituisce da sempre la scuola permanente dove ogni persona impara e si trasforma, verificando continuamente se stessa attraverso l’esperienza.

La scuola, infatti, non è altro che un frammento di mondo “protetto”, una sorta di spazio iniziatico, dove si ha cura di far acquisire gradualmente linguaggi, strumenti ed abilità per l’autonomia e dove si offre, ad ogni persona, la possibilità di individuare i propri talenti, di sviluppare e consolidare le proprie potenzialità e la propria identità.

Bambine e bambini, città, partecipazione, sono le parole chiave di un progetto di città corale dove s’incontrano, si esprimono e interagiscono diverse progettualità e saperi che, insieme, possono contribuire a trasformare la città in un organismo educante, ossia una scuola permanente, capace di accogliere pienamente e con bellezza ogni età e stato dell’essere.

L’accessibilità come requisito qualitativo

L’accessibilità dell’edificio scolastico e del contesto urbano in cui è inserito, costituisce l’aspetto nodale a cui riconducono diverse esperienze sviluppate in alcune città e realtà del nostro Paese. Esperienze che offrono una testimonianza concreta volta a richiamare l’attenzione sulla centralità che può assumere anche questo valore nel trasformare in modo positivo e creativo ogni spazio della realtà urbana, cogliendo le opportunità che essa ci offre per procedere in questa direzione.

Partendo dalla quotidianità degli alunni che hanno animato esperienze partecipative per contribuire alla ricerca della qualità dei loro spazi di vita quotidiana (laboratori scolastici, laboratori di quartiere), queste esperienze hanno messo in luce aspetti e criticità del tutto ignorate o non sufficientemente considerate dal progetto urbanistico e architettonico, offrendo spunti originali per possibili soluzioni progettuali e per rivedere creativamente questo spazio così importante per la crescita e la formazione delle generazioni future.

L’accessibilità urbanistica, ad esempio, è il requisito qualitativo che se garantito permette a bambine e bambini di andare a scuola da soli e di esplorare e sperimentare in sicurezza e autonomia il proprio quartiere e la città. Non c’è laboratorio scolastico sugli spazi che non abbia messo in luce questa esigenza e che non abbia sviluppato un lavoro di ricerca per soddisfarla.

La localizzazione dell’edificio scolastico, del giardino, ecc. nella maglia urbana, quindi, deve derivare da una scelta attenta a tutti gli elementi che concorrono a garantire, oltre agli altri requisiti, anche attraversamenti stradali e percorsi ciclo-pedonali sicuri .

L’intreccio fra accessibilità urbanistica e autonomia di bambine, bambini e adolescenti nei loro percorsi di vita quotidiana, mette in evidenza le criticità da risolvere per sviluppare una mobilità scolastica sostenibile con l’ambiente e con l’esigenza di muoversi in autonomia degli abitanti più piccoli e giovani.

Bambine e bambini sulla città accessibile

Le esperienze sviluppate con la partecipazione di bambine e bambini sull’accessibilità degli spazi di vita quotidiana, mettono in primo piano sostanzialmente quattro aspetti nodali per lo sviluppo futuro e sostenibile della città: l’importanza dello spazio pubblico come luogo di riconoscimento e identificazione dell’intera comunità oltre che come luogo funzionale allo svolgimento di attività, di incontro e di relazione fra le diverse persone e culture; il valore e il riconoscimento delle diversità etniche, religiose e culturali; la necessità di dare priorità alla mobilità pedonale e ciclabile, ribaltando radicalmente una gerarchia consolidata da tempo; l’urgenza di ristabilire un equilibrio con la natura a partire dal sistema di raccolta dei rifiuti.

Le idee e gli spunti di progetto per una città accessibile e accogliente, in altre parole solidale con chiunque anche nei suoi tempi e spazi, raccolte ed espresse nei lavori e materiali realizzati da bambini e adolescenti nel corso dei laboratori scolastici, riflettono una creatività molto pragmatica e che è possibile realizzare anche in tempi brevi.

Questi materiali racchiudono una metafora che richiama valori e aspetti nodali dello sviluppo più prossimo della città, aspetti e valori su cui bambine, bambini e adolescenti ci chiamano a riflettere e a condividere.

In Toscana, l’accessibilità urbanistica è un requisito che è stato inserito fra gli obiettivi della L.R. n. 1/05, “Norme per il governo del territorio”.

E’ importante richiamare fra le diverse una prescrizione contenuta nel D.M. 18/12/1975 sull’edilizia scolastica: “L’edificio scolastico è considerato come parte integrante di un continuum educativo e non come entità autonoma, quindi inserito organicamente in un contesto urbanistico e sociale (….). Le destinazioni di zona e la localizzazione degli edifici scolastici debbono discendere da uno studio morfologico preliminare dell’ambiente (preesistenze urbane, storiche, naturali, risanamento e completamento di centri urbani, nuove progettazioni urbane, ecc.), che valuti le conseguenze determinate dalla scuola nel contesto in cui viene inserita. Nello stesso studio dovrà essere precisato in quali modi la scuola favorisce lo scambio di relazioni sociali, assumendo, insieme con le altre componenti della struttura urbana, il carattere di strumento correttivo o incentivo della pianificazione urbanistica”.

Evidentemente il tempo ha messo in ombra questa prescrizione che, se applicata integralmente, avrebbe ridotto sensibilmente anche il problema della mobilità scolastica con indubbie ricadute positive (riduzione del traffico e dell’inquinamento, dei tempi dedicati al lavoro di cura, ecc.).

Oltre alle prescrizioni del D.M. 18/12/1975, l’importanza della localizzazione dei servizi pubblici e la scelta dell’area in cui realizzarli è richiamata e regolata dalla Legge n. 503/1996 per l’accessibilità degli spazi pubblici, Titolo II, art.3 e, in Toscana, dalla già richiamata L.R. n. 1/2005 e L.R. n. 38/98 “Governo del tempo e dello spazio urbano”.