Istanbul – gli spazi pubblici mobilitano i cittadini

Riportiamo alcuni passi significativi dell’articolo di Michael Kimmelman ,”nel cuore di Istanbul”,pubblicato sul New York Times

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Dopo piazza Tahir in Egitto e Zuccotti Park a New York, Taksim è l’ultima prova del grande potere che hanno gli spazi pubblici. La piazza è diventata terreno di scontro tra due visioni del mondo: quella autoritaria,neo-ottomana e conservatrice di un leader inflessibile, e quella pluralista, disordinata, giovane e meno islamista di coloro che vorrebbero che la Turchia fosse una democrazia moderna.” Taksim è il luogo dove ognuno esprime liberamente gioia,dolore,idee politiche e sociali” dice Esin,che ha 41 anni e se ne sta seduta con il capo coperto su una panchina a osservare i manifestanti. Non vuole rivelarmi il suo cognome perché teme il giudizio dei suoi conoscenti conservatori. “ il governo vuole trasformare questo posto senza consultare la gente”dice.

 

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Ancora una volta uno spazio pubblico si rivela più potente dei social network che aggregano solo comunità virtuali. Le rivoluzioni si fanno in carne ed ossa. A Taksim persone che non si conoscevano si sono conosciute,hanno capito di avere problemi comuni e una voce collettiva. Il potere dei corpi che si incontrano ha dato vita ad un momento di vera democrazia.” Ci siamo trovati” dice Omer Kanipak, una architetto di 41 anni..

 

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Erdogan ha già fatto demolire un cinema molto amato e una vecchia gelateria sulla via Istiklal,la strada principale del quartiere che sbocca sulla piazza. Non c’è da sorprendersi quindi se per molti turchi il parco Gezi è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso.” Abbiamo bisogno di spazi liberi”afferma Pelin Tan, un sociologo che ho incontrato tra i manifestanti:”Gli spazi pubblici fanno parte della nostra identità urbana e cosmopolita”,mi spiega il critico di architettura Gokhan Karakus. “Ed è proprio questo che non piace al primo ministro. Le persone che hanno occupato il parco lo sentono come spazio proprio,non concesso dall’alto, Per questo l’idea di distruggerlo si è ritorta contro Erdogan ..

 

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Nel frattempo il parco Gezi è diventato un villaggio di tende,con bancarelle che distribuiscono pasti e abiti gratuiti, un asilo, una biblioteca, un’infermeria e un giardino. L’architettura è puro urbanismo tattico,essenziale e pragmatica: tetti di latta,colonnine di cemento e cassette di legno usate come tavolini. Il parco ha prodotto anche la sua economia informale: venditori di polpette, di aceto( contro i gas lacrimogeni) e di maschere di Guy Fawkes,quelle indossate dai manifestanti di tutto il mondo.

 

Da un sondaggio pubblicato sul quotidiano Harriyet il 6 giugno è emerso che il 70% dei manifestanti non si sente vicino a nessun partito. Nel ventesimo secolo la politica si fa per la libertà privata e per gli spazi pubblici.

 

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Dall’esperienza degli anni 60 sappiamo che pedonalizzare tutto non serve”concorda Hashim Sarkis,che insegna architettura e urbanistica ad Harvard “Meglio trovare trovare una soluzione più equilibrata. I luoghi liberi e imprevedibili come Taksim sono preziosi. La loro forza sta proprio nella mutevolezza,ed è questo che temono le autorità. Taksim è troppo aperta e libera”.

 

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Di ritorno a Gezi mi imbatto in un cartello che cita un vecchio verso di Nazim Hikmet: “ io sono un albero di noce del parco Gulhane(..)ma né la polizia né tu lo sapete”.Omer Kanipak afferma che il progetto per trasformare Taksim “è riuscito per la prima volta ad abbattere il muro del timore che impedisce di opporsi ad uno stato autoritario” Dopo gli ultimi passi la tensione sta salendo. Un conflitto per uno spazio pubblico è sempre una contrapposizione tra controllo e libertà,chiusura e multiculturalità. La posta in gioco non è solo una piazza. E’ l’anima di un popolo”