RIFLESSIONE “NEL FRATTEMPO”

Premessa fondamentale: tralasciare il bicchiere mezzo vuoto…
Il fenomeno pandemico che ha attraversato la vita dell’intero pianeta ha posto improvvisamente la necessità di stabilire la misura di un valore che determinasse una presumibile integrità: la distanza minima.
E’ un concetto che diviene talmente simbolico, nelle infinite declinazioni che le forme di prossimità consentono o determinano, da divenire quasi territorio poetico, da riempire di interpretazioni e possibili significati.
La distanza “sicura” diviene un interspazio entro il quale transitano messaggi, suggerimenti, indicazioni, sguardi e inviti, repulsione e accoglimento; un filtro di sospensione in cui si ricalibra il livello di relazione, si azzera il pregresso e si indovina un nuovo modo di soppesare il contatto e le sue forme di consenso.
La mascherina – che ne sublima il messaggio – diventa uno strumento indiretto di differente comunicazione. Più volte in questi giorni ho riflettuto su certe paradossali similitudini con la condizione dell’abbigliamento imposto al genere femminile in certe culture, nelle quali la limitazione all’espressione determinata dalle varie forme di nascondimento del volto (e non solo), conduce verso lo sguardo tutta la comunicazione altrimenti impedita. Il paradosso di questa ferocia, che stiamo fatalmente incarnando nell’attualità della pandemia, suggerisce quanto l’umanità si organizzi per trasferire, dove e come può, l’intensità della propria esistenza e il bisogno irrinunciabile di relazione.
Un limite diviene dunque commutatore di senso, e non è l’unico risvolto sorprendente della realtà pubblica che stiamo vivendo.
La provvisorietà di questo tempo sta svelando quindi anche le singole e comuni risorse di adattamento e di creativa compartecipazione ad una dimensione pubblica mai così unanime e condivisa.
Nell’ordinario percorrere la città, inedite forme di prossimità – create anche dal districarsi attraverso i civili raduni d’attesa di accesso alle attività commerciali e ai servizi “su strada” – allenano ad un consenso d’uso pubblico solitamente mal tollerato e a modalità circostanziali di scambio cortese, gentilezza reciproca e di tolleranza di una promiscuità di cui ci sentiamo equamente parte. Una condizione metabolizzata ad una velocità sorprendente, che ha fortemente attenuato la generale insofferenza che la normalità quotidiana finora ci aveva inoculato.

Il portato di questo impegno di adattamento ad una realtà, non sappiamo ancora se e quanto temporanea, trova una concretizzazione evidente e sentita nella riconfigurazione sostanziale del concetto di soglia, del diaframma sottile e pesantissimo che separa il pubblico dal privato, il comune dall’individuale, e che ha già sviluppato l’articolazione creativa di una comunicazione mirata ad accogliere la collettività e gli individui in una misurata relazione con i luoghi e le attività, suggerendo i corretti comportamenti.

https://youtu.be/_-S5Vwfvbbs

Lo spazio pubblico, in totale revisione di senso, si riattiva quindi a partire dalle elementari e spontanee forme di riorganizzazione delle comunità e degli individui, che via via ridisegneranno la mappa delle mutazioni permanenti; negli interstizi di una presunta casualità si ritrova tuttavia la genuinità e l’essenzialità delle mozioni fondamentali, la capacità intuitiva di fare la cosa giusta, predisponendo – forse – la disponibilità a rifondare il sistema della prassi e delle abitudini quotidiane su basi di naturale sensibilità e di logica. Val la pena di crederci almeno per un po’…
Nell’attesa della futura normalità, intanto ci godiamo – si fa per dire, ma neanche troppo – la provvisoria condizione della “città dei cittadini”, una vita intermedia in cui l’assenza di turismo e delle consuete transumanze urbane sta lasciando spazio ad una percezione quasi paradisiaca dei versanti sublimi del disastro; un forte senso di accessibilità e una quiete paziente, tra paura e sollievo, si stanno insinuando profondamente nella condizione ancora sospesa dai vincoli dell’ordinarietà, divenendo nuovi parametri di riferimento, sostenuti da un agire diretto ed immediato dei loro effetti. Che abbiano dunque la forza di divenire indicatori di un ritrovato e irrinunciabile benessere?
Val la pena di immettere una percezione “aumentata” dei fenomeni nella revisione globale dello spazio comune e della vita che ci condurremo, compito quanto mai connesso a responsabilità rifondative e visioni di illuminata lungimiranza, a partire dall’osservazione minuziosa della realtà in corso che, sono certa, produrrà gli effetti per una virtuosa resilienza dei valori rivelati.

Livia Cannella
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